Un film d'altri tempi. The love witch di Anna Biller (2016)
Oggi in occasione di San Valentino vi parlo di un film che non è stato distribuito in Italia e che ho acquistato senza saperne assolutamente niente, dopo essermi innamorata a prima vista di Elaine, la strega. Si tratta di The love witch, scritto prodotto e diretto da Anna Biller nel 2016 e interpretato dalla stupenda ed eccezionale Samantha Robinson.
The love witch non è un horror ma un dramma femminista con venature thriller ed erotiche. Femminista perché questo è, nelle intenzioni dichiaratissime di Anna Biller che lo ritiene in parte autobiografico. L’obiettivo era realizzare un film che parlasse delle fantasie femminili dal punto di vista della donna.
Fin dai titoli di testa, meravigliosi, che richiamano le più famose donne di Hitchcock alla guida, apprendiamo che Elaine si sta trasferendo da San Francisco verso una piccola località della California del Nord per riprendersi in seguito alla morte del marito Jerry. Sempre Elaine ci racconta che, secondo gli ultimi studi in materia di salute mentale, gli uomini sono fragili; ma sembra dirlo con sarcasmo e disprezzo.
Elaine spiega che dopo la morte del marito (e capiamo subito che con ogni probabilità lo ha ucciso proprio lei) è come morta, ma è rinata come strega. Spiega di aver studiato parapsicologia e per questo ora capisce bene che cosa vogliono gli uomini: sono come bambini, gli basta avere una donna che li ami e si prenda cura di loro, e attraverso il sesso si può arrivare al loro cuore.
Trish, la donna che la accompagna presso la casa della comune amica Barbara (colei che ha iniziato Elaine alla stregoneria) ribatte che il patriarcato deve averle fatto il lavaggio del cervello, e indignata afferma che suo marito Richard la ama “per come è”, e che lei non deve cercare di compiacerlo. Elaine invece preferisce affidarsi a pozioni d’amore e rituali di legamento per ottenere gli uomini che vuole, salvo poi accorgersi che non li vuole davvero, così questi impazziscono letteralmente.
Poco dopo è infatti con profondo disprezzo che Elaine commenta le pene d’amore di Wayne, il primo uomo a cadere vittima del suo sortilegio: “Povero piccolo, eppure quando stavo male io non c’era nessuno ad aiutarmi”. Poi Elaine seduce e abbandona anche il marito di Trish. Le scene di seduzione sono il massimo del glamour raggiunto da Samantha Robinson, che porta lunghe extension tattiche a coprirle il seno, mentre le uniche scene di nudo integrale sono quelle dei rituali stregoneschi.
Quando la polizia si mette sulle sue tracce in seguito alla morte di Wayne, Elaine conosce il detective Griff, “l’uomo del fato”, ma le cose vanno degenerando e dopo una caccia alla strega di salemiana memoria (in città altri omicidi fanno sospettare di Elaine) abbiamo una scena finale che ci riporta al sogno di Elaine e alle dure ma profetiche parole dello stesso Griff: “Quello che tu chiami amore è un disturbo della personalità.” Elaine ribatte allora: “Gli uomini non amano le donne per ciò che sono davvero. Per tutta la mia vita sono stata buttata nella spazzatura, tranne quando gli uomini volevano il mio corpo.”
La scena clou del film è la festa rinascimentale, che rappresenta il mondo sognato da Elaine, impossibile da ottenere nella realtà. Ma è fondamentale anche la scena in cui Trish raggiunge la casa di Elaine e si veste e si trucca come lei, quasi a voler simboleggiare il dramma interiore della donna razionale e forte, moderna, che non bada all’esteriorità e all’asservimento all’uomo, ma che in fondo sente il fascino della seduzione femminile, ed è per questo che si mette il rossetto di Elaine, quello stesso cosmetico che la strega aveva definito uno strumento magico. Del resto fin dall’inizio Trish mostra una profonda attrazione per Elaine: “Sei bellissima”, le dice, “ma io sono sposata”.
Inoltre la stessa Trish ammette di aver accettato un costoso anello di fidanzamento, analogo a quello che in seguito le mostra Elaine, e questi anelli, insieme al discorso di Barbara al locale di burlesque ("Con il matrimonio gli uomini ci hanno imbrigliate, facendoci diventare schiave bambole e puttane") mi ricorda moltissimo i versi di Sylvia Plath sull’anello nuziale: “Un anello d’oro con dentro il sole? Bugie. Bugie e dolore.”
Elaine è una donna abusata, e questo lo scopriamo fin dall’inizio, anche se indirettamente, proprio da lei, che afferma: “People are abused everyday in the world, much worse than me, and they do fine”. Più avanti, nel corso del film, scopriamo, anche se appena accennato, un difficile rapporto con il padre, e ancora gli abusi da parte di un mentore che con la scusa della liberazione sessuale e del sesso come mezzo per riportare la donna allo stato di dea, abusa di lei.
Dopo tanto contenuto, veniamo ora alla forma del film, che però è strettamente collegata al primo. Questa pellicola fa rivivere la magia del technicolor: i colori e le luci esprimono tutta la potenza delle emozioni e del trucco, degli abiti di Elaine (rosso fuoco, rosa, nero, arcobaleno, bianco a simboleggiare tutte le sfumature della personalità) e del sangue. Sangue che non è tanto quello delle vittime (ripeto, non è un horror), quanto quello mestruale: Elaine spiega che il sanguinamento femminile è una cosa bella e naturale, eppure la maggior parte degli uomini non ha mai visto un tampone usato.
Anna Biller scrive, dirige, produce, compone le musiche rinascimentali, crea alcune delle opere d’arte che si vedono nel film e cura personalmente la scelta degli abiti attraverso una ricerca durata anni in negozi e mercatini. La regista e il direttore della fotografia sembrano essersi ispirati, per l'uso del colore, anche a Mario Bava con il suo capolavoro Sei donne per l’assassino, però con l’atmosfera languida di certe pellicole di Jesus Franco, e del resto Samantha Robinson ha una bellezza talmente sconvolgente e senza tempo da avere davvero poco da invidiare a Soledad Miranda.
Per quanto riguarda le ispirazioni dichiarate, Anna Biller spiega che l’idea del film le è venuta da Femmina folle, mentre il direttore della fotografia M. David Mullen fa riferimento in generale al cinema classico di Hollywood tra la fine degli anni Venti e i primi anni Settanta del Novecento, e a Alfred Hitchcock e Marnie in particolare.
La colonna sonora, oltre alla musica rinascimentale, ospita brani di Ennio Morricone (tratti da Il Diavolo nel cervello, Veruschka, Una lucertola con la pelle di donna), e di Piero Piccioni (Le mani sulla città, Chi lavora è perduto), e il titolo parrebbe un omaggio a Damiano Damiani e alla sua quasi omonima Strega in amore del 1966, film tratto da un romanzo di Carlos Fuentes (anche se la trama è completamente diversa). La scena rinascimentale omaggia invece La favolosa storia di Pelle d'Asino di Jacques Demy.
Che dire? Da una regista che ama Pasolini, un film molto più complesso di quel che sembra, da vedere assolutamente se si ama il cinema del passato e per la prova eccezionale di Samantha Robinson, da vedere inoltre in quanto esempio di cinema femminista e per la complessità delle contraddizioni del rapporto uomo-donna, ma anche donna-donna e per i propri drammi interiori.
Qui trovate il mio videocommento (stavolta un po' più lungo del solito) e qualche frame del film.
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