Il mostro della strada di campagna di Robert Fuest

Il mostro della strada di campagna (And soon the darkness) è un film diretto da Robert Fuest nel 1970, subito prima di regalarci quella pietra miliare dell'iconico Dr Phibes.


Due giovani infermiere inglesi restano di fatto intrappolate in un paesaggio rurale piatto e sconfinato. Fin dai titoli di testa viaggiamo in bicicletta con Jane (Pamela Franklin) e Cathy (Michele Dotrice) attraverso l'assolata campagna francese. Ma oltre a essere le classiche turiste straniere in terra straniera, le ragazze sono anche divise tra loro: la bionda Cathy vuole flirtare e divertirsi e mangia con gli occhi un affascinante sconosciuto, mentre la bruna Jane è più rigida, e lo vediamo anche dallo sguardo timido rivolto ad alcuni gendarmi che la apprezzano apertamente.

Dopo un litigio causato proprio dal diverso modo di intendere la vacanza, le ragazze si separano e Cathy scompare.

Jane si mette alla ricerca dell'amica, scontrandosi con la paura, la diffidenza e il pregiudizio della gente del posto: nello stesso luogo della scomparsa, tempo prima era stata uccisa una turista bionda come Cathy. "Ma un po' se l'era cercata, viaggiando da sola in autostop", le spiega un'insegnante. In lingua originale, i dettagli sulla fine della vittima suonano più agghiaccianti: "It was more than murder, if you know what I mean." 

Jane viene aiutata nelle indagini proprio dall'uomo misterioso che Cathy fissava all'inizio del film, e che vediamo comportarsi in modo sempre più sospetto: sembra un personaggio tipico del giallo all'italiana, che oltretutto guida una Vespa.

Nella piena luce del sole, lungo una anonima strada di campagna, si annida quindi una vecchia storia di terrore, perversione e morte.

Coadiuvato dalla fotografia di Ian Wilson che ci regala giochi di ombre che ricordano talvolta il noir, Fuest alterna sapientemente i campi lunghi, a isolare figure che si stagliano nei campi immensi (l'anziano genitore del gendarme da lontano può ricordare uno degli zombi di La notte dei morti viventi di Romero) e primi piani sugli sguardi smarriti o sospetti dei vari personaggi; e i dialoghi francesi sono stati lasciati di proposito senza sottotitoli per far condividere agli spettatori il senso di smarrimento di Jane. 

La sceneggiatura di Brian Clemens e Terry Nation, abbinata alla colonna sonora di Laurie Johnson che varia da temi sbarazzini a suoni minacciosi, si sposa alla perfezione con la scelta dei colori e la composizione delle sequenze.

I pochi personaggi sono adeguati nel creare disagio e sospetto, e il climax verso un finale inaspettato si conclude poi con una scena che ci riporta all'inizio del film.

Una costruzione a porte chiuse, un labirinto in spazi aperti e in pieno giorno. Fuest ottimizza l'esiguità del budget indugiando sui volti perennemente sudati, accaldati e cotti dal sole: si ha quasi l'impressione che sia quello a scatenare la follia omicida; e la mente va a Macchie solari di Armando Crispino (1975). Inoltre, il parcheggio di roulotte abbandonate e la povertà di certi ambienti squallidi mi hanno ricordato molto il successivo Non aprite quella porta (1974).

Ma i riferimenti cinematografici sono tanti, e quasi tutti a credito. Se la stessa locandina strombazza atmosfere alla Hitchcock, alcune recensioni sottolineano anche scene o atmosfere simili a quelle che si troveranno poi in La pelle di Satana (1971, sempre con Dotrice), The wicker man (1973), Halloween (1978). 

Insomma, un film (e un regista) da riscoprire assolutamente.

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