Conversazione su La casa di Jack. Con Marco e Barbara
Mi riaggancio al discorso di Marco che ha indicato alcune delle teorie in cui può rientrare questo film del 2018 dal punto di vista filosofico e anche filologico. A me è venuto in mente Walter Benjamin con la teoria della riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, perché anche secondo me questo film parla di cinema a partire dallo stesso Lars von Trier che un po' si sdoppia, come se facesse un'intervista; perché è chiaro che lui è Jack (Matt Dillon), ma è anche un po' Verge, come se si facesse delle domande dandosi anche le risposte un po' come Marzullo, botta e risposta. In pratica il film è una seduta psicanalitica dello stesso von Trier.
Invece per quanto riguarda i serial killer citati da Barbara, preso nel suo complesso è vero che probabilmente Jack non è questo "genio del male" come altri serial killer che conosciamo; però nel suo modus operandi riassume un po' un'enciclopedia dei vari killer realmente esistiti: ad esempio Ed Gein che ha ispirato anche Leatherface di Non aprite quella porta e lo stesso Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti, creava oggetti con le sue vittime; invece Ted Bundy fingeva di essere svantaggiato fisicamente o molto sensibile, infatti vediamo che sono tutte tattiche che Jack usa abbondantemente; e poi è esistito anche Iceman, un killer che congelava le sue vittime. Quindi il film è un dizionario enciclopedico dei serial killer, e anche questo secondo me è sintomatico.
Come diceva Marco all'inizio, il film è stato visto come un'apologia del serial killer ma in realtà secondo me è un'accusa anche piuttosto pesante rivolta proprio alla società occidentale nel suo insieme. Pensiamo non solo ovviamente a Dante che qui viene citato e ripreso in modo molto esplicito, e c'è anche tra l'altro una scena che richiama un famoso dipinto di Delacroix; in questo secondo me è molto valido anche il direttore della fotografia, perché ci sono veramente delle inquadrature e delle trovate geniali: secondo me ha lavorato molto bene insieme a von Trier per costruire fotogramma per fotogramma in modo decisamente artistico questo film, ovviamente a richiamare anche l'arte stessa di Jack che compone i corpi nelle fotografie, che vuole costruire la casa, che è un ingegnere che vorrebbe essere architetto; quindi sicuramente c'è molta arte, molta estetica in questo film.
Però attraverso tutti questi stilemi e queste modalità von Trier secondo me lancia una grande accusa all'occidente. Lui vabbè, si è lasciato - come dire - "sfuggire" molte dichiarazioni poco piacevoli, tanto che lo stesso distributore italiano ha specificato più volte: "Allora, io distribuisco von Trier perché trovo che il suo cinema sia arte, però le cose che dice mi fanno abbastanza schifo." Però von Trier, nonostante come persona e come personaggio sia ovviamente dedito alla provocazione, nei suoi film non fa solo questo; cioè lui ci sbatte in faccia una verità davvero molto scomoda, secondo me è anche per questo che certi suoi film come appunto questo vengono vietati ai minori di 18 anni: cioè ci sbatte in faccia tutta la tossicità - per utilizzare un termine un po' troppo abusato, ma non mi viene in mente niente di migliore in questo momento - della nostra società occidentale.
Il fatto stesso che il titolo richiami una famosa filastrocca popolare che ha una costruzione simile a quella della Fiera dell'Est per intenderci, perché è una filastrocca tutta concatenata, secondo me non è casuale neanche questo. Io ci vedo davvero uno sbattere in faccia il lato oscuro più schifoso della nostra società e quindi oltre a essere una riflessione sul cinema dentro il cinema, e sullo stesso regista dentro un suo film, è una riflessione molto più ampia ed è per questo che è un film che va visto più volte per capire anche meglio alcuni passaggi e alcuni messaggi. Le altre cose le avete già dette tutte voi, compreso il disturbo ossessivo compulsivo del protagonista.
(...) Volevo aggiungere una cosa rispetto a quello che ha detto Marco. Ecco a me viene in mente Dario Argento, che nei primi anni ha sfornato dei capolavori poi con il passare del tempo - non solo per colpa sua per carità, perché insomma prima aveva un certo tipo di produzione e adesso si deve arrangiare con pochi fondi - ecco, si cambia la sensibilità, cambiamo noi; solo un imbecille rimane uguale per tutta la sua vita: cambiamo gusti, cambiamo opinioni. Penso anche a Kerouac. Insomma ci sono veramente scrittori e registi che nella loro vita e nella loro carriera cambiano tantissimo per idee e stile, quindi sarebbe davvero sciagurato andare a riprendere sempre certi discorsi: "Ma perché tu 30 anni fa hai fatto quel film con quelle scene?" Davvero sono molto d'accordo con Marco su quanto sia inutile andare a rivangare sempre il significato delle opere passate.
Per ascoltare l'intera chiacchierata, c'è il video su YouTube.
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