Red state: l'ennesima genialata di Kevin Smith

Red state, del 2011, si apre con il classico stereotipo del cinema horror, una di quelle regole che il grande Wes Craven aveva citato in Scream: "negli horror chi ha intenzione di fare sesso finisce male".


Abbiamo dunque tre adolescenti che, tramite una app per appuntamenti online, fissano un incontro con una donna che ha intenzione di spupazzarseli tutti e tre insieme appassionatamente.

I tre ingenuotti partono e, in preda agli ormoni, tamponano una macchina ferma sulla strada. Per puro caso, in quell'automobile c'è un inetto sceriffo dedito a un incontro omosessuale.

I ragazzi giungono sul luogo dell'appuntamento e la regola aurea di zio Wes si realizza in pieno. La modalità con cui ciò accade, tuttavia, è tipica dei film di Kevin Smith.

Coadiuvato da un Michael Parks (scomparso nel 2017, volto amato tra l'altro da Quentin Tarantino e grandioso villain di Tusk, ancora di Kevin Smith) decisamente credibile nei panni di un folle moralizzatore, Smith scrive e dirige un film che sembra ispirarsi a Dal tramonto all'alba, con una seconda parte che diventa un pulp western.

Smith mette in scena tutto il suo sarcasmo e un evidente messaggio contro l'abuso delle armi, i fanatismi religiosi (Smith ha anche contro-manifestato durante uno dei famosi picchetti della chiesa battista di Westboro) e l'ipocrisia delle forze dell'ordine negli Stati Uniti.

Nel cast anche i veterani John Goodman e Melissa Leo; ma anche i giovani Kerry Bishé, Michael Angarano, Kyle Gallner e Nicholas Braun sono volti noti. 

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