Bruiser. Il film di Romero sull'identità... senza identità


Jason Flemyng interpreta Henry Creedlow, un uomo che nella vita non ha avuto il successo (o per meglio dire il riconoscimento) che sperava. Vive in una casa incompiuta e lavora presso la rivista glamour Bruiser per Milo, un capo tirannico e insopportabile (Peter Stormare). Sua moglie (Nina Garbiras), bellissima e sexy, lo tradisce proprio con Milo, mentre il suo migliore amico (Andrew Tarbet) lo deruba, così come la domestica. Perfino l'odioso barboncino di sua moglie lo detesta.

In ufficio e nella quotidianità, Henry sembra circondato da persone che a malapena lo notano o che lo ignorano di proposito. Una mattina, sente un ascoltatore spararsi durante un programma alla radio. Questo evento lo cambia: l'uomo immagina che cosa accadrebbe se si uccidesse o se iniziasse a vendicarsi di chi lo ha maltrattato. 

Durante una festa a casa del capo, la moglie di Milo crea una maschera partendo da un calco del volto di Henry. Rosemary (Leslie Hope) la dona al collega: è bianca e deve essere decorata. Durante il party, Henry vede sua moglie flirtare con Milo e, una volta a casa, la donna gli urla tutto il suo disprezzo e se ne va. La mattina dopo, Henry scopre che la maschera (è reale o frutto della sua immaginazione?) si è irrimediabilmente attaccata al suo viso, e questo anonimato lo "libera": adesso l'uomo è in grado di avere la sua vendetta e di riappropriarsi della sua identità.

George A. Romero e i flop non-zombi. Dopo aver rivoluzionato la storia del cinema (non solo horror) con La notte dei morti viventi (1968), film di zombi apocalittico realizzato con un budget ridicolo, Romero realizza altri film di qualità che hanno però meno successo: tra questi il sottovalutato La città verrà distrutta all'alba (1973) del quale parlo qui. La fortuna principale del regista resterà per sempre legata ai morti viventi, con l'eccellente Zombi (1978), anche se va ricordato il buon successo commerciale di Creepshow (1982).

Dopo il terzo capitolo della trilogia dei non-morti (secondo me anch'esso sottovalutato, Il giorno degli zombi del 1985), Romero per un ventennio prova a stare lontano dalla sua amata prole zombesca. Nota a margine: Monkey shines, Due occhi diabolici e La metà oscura non sono certo film imperdibili, ma le buone idee non mancano e a loro difesa va detto che il regista ebbe continui problemi con le case di produzione e a livello distributivo, pertanto non sempre la ciambella uscì con il... buco immaginato da Romero.

Bruiser (2000) si inserisce proprio tra i film meno riusciti del regista. Le metafore sociologiche tipiche di Romero non sono quelle brillanti dei suoi film migliori, ma quelle bidimensionali dei personaggi di Creepshow. Ma da quel film (che pure adoro), che era del 1982 e si ispirava ai fumetti della EC Comics degli anni Cinquanta, sono ormai passati quasi vent'anni, e si vede. 

Le caricature presenti in Bruiser mi ricordano molto quelle di The Dentist di Brian Yuzna del 1996: in particolare la moglie stronza che tradisce il protagonista, al quale si aggiungono qui un capo insopportabile, un amico traditore e una cameriera (di origine straniera) ladra. Henry è un uomo che non riesce a imporsi e che sbrocca, come in Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher (1993). Ma di inetti e di vendicatori che si incazzano è piena la storia del cinema: pensiamo a Cane di paglia di Sam Peckinpah (1971), a Il giustiziere della notte di Michael Winner (1974), ma anche al successivo (tratto però da un'opera teatrale di David Mamet del 1982) Edmond del 2005, di Stuart Gordon. Per quanto riguarda gli eroi (e antieroi) senza faccia, poi, non provo nemmeno a citarli.

Romero reazionario e moralista, quindi? Misogino e razzista? Proprio lui? Molto più probabile che la motivazione dietro a un film come questo sia piuttosto una generale misantropia mista a paranoia e amarezza: la scoperta che nemmeno le persone più vicine sono degne della nostra fiducia. Un soggetto simile riflette bene la disillusione del regista per la perdita dell'identità artistica all'interno dell'industria del cinema. Inoltre è palese anche la critica a un mondo materiale folle e privo di ogni umanità, perfettamente esemplificato dal personaggio di Milo (uno Stormare davvero sopra le righe, come afferma Rudy Salvagnini nel suo Dizionario dei film horror).

Ma abbiamo la certezza che per Romero il nostro Henry sia un eroe? Lui è un conformista, un uomo curato che vive in una villa con una moglie bellissima e lavora per una rivista di moda. Certo, Henry è vittima di chi si approfitta di lui, ma prima di trovarsi dietro la maschera accetta passivamente la sua vita mediocre. L'anonimato gli permette di vendicarsi delle persone che ritiene moralmente e socialmente corrotte, ma è proprio la violenza a impedire un suo reale cambiamento sociale: scegliere l'omicidio per rompere con una vita dedita al consumismo edonistico non significa raggiungere maturità e consapevolezza.

Il film, che dovrebbe essere un thriller psicologico realizzato con elementi di satira sociale e horror sulla fine del grande sogno americano*, non funziona benissimo. Il ritmo non è dei migliori e la premessa richiede la sospensione di ogni logica: non appena capisce di non poter rimuovere la maschera, Henry in pochi minuti diventa una persona completamente diversa e commette il primo omicidio. La sceneggiatura, inoltre, non regala particolari sottigliezze. Di contro, la pellicola ha come punti forti la partecipazione dei Misfits (i quali ricambiano il favore a Romero che ha diretto il video di Scream) e la presenza del veterano dell'horror Tom Atkins nei panni del detective.

Girato per la prima volta a Toronto a differenza dei precedenti film di Romero tutti legati all'area di Pittsburgh, Bruiser ottiene una distribuzione davvero scarsa ed è un flop, a quanto pare anche a causa della circolazione di copie illegali. Inoltre la maschera bianca, se da un lato fa pensare a un clone di Halloween, dall'altro illude i fan di Romero di trovarsi di fronte a uno slasher violento e sanguinoso, mentre qui anche la fotografia, complice l'ambiente da yuppismo del Duemila, è ben diversa da quella dei film di Romero di maggior successo.

Non ci è dato sapere se Bruiser sarà tra i fortunati titoli destinati a essere rivalutati fino a diventare, in futuro, film di culto; comunque, secondo il critico Roger Ebert, Bruiser è migliore dei precedenti lavori di Romero (Due occhi diabolici e La metà oscura):

"I problemi con i distributori hanno perseguitato anche Bruiser (2000), un'opera nera e divertente su un uomo metaforicamente senza volto (Jason Flemying) che una mattina si sveglia, trova il suo viso sostituito da una maschera bianca vuota e usa il suo anonimato per vendicarsi di coloro che gli hanno fatto un torto. Sebbene sia stato il suo miglior lavoro dopo anni, il film non è mai uscito nelle sale e ha invece debuttato in home video."

*Marco Vettorato, ne Il signore degli zombie, fa inoltre riferimento al Mattia Pascal di Pirandello.

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