Conversazione su Still life di Uberto Pasolini (2013). Con Barbara e Marco
Stavolta ho scelto io il film del quale parlare e ringrazio Barbara e Marco per aver accettato, perché trovo che sia - purtroppo - di grande attualità. Questo non è uno di quei titoli su cui ci sia molto da interpretare, perché Still life è molto chiaro, quasi didascalico: non ci sono grandi misteri. Ciononostante, trovo che sia un film davvero molto profondo.
Si tratta di una coproduzione di Italia e Regno Unito, infatti le riprese sono state effettuate in Inghilterra. Il protagonista, John May, è un funzionario comunale con un lavoro molto particolare: cerca di rintracciare - e in questo sembra quasi un investigatore privato - i parenti delle persone che sono morte in solitudine.
John effettua scrupolosi sopralluoghi nelle abitazioni delle persone che sono venute a mancare e analizza lettere, bollette, album fotografici, dischi. Alcune di queste persone avevano degli animali e infatti una delle storie più commoventi, almeno secondo il mio parere, è quella di una signora che conserva delle lettere che sembrano scritte da una figlia ma in realtà poi si scopre che questa è una gatta.
John molto spesso si trova a fallire nel suo lavoro e alcune delle scene sono davvero toccanti. John ricostruisce le vite delle persone morte e scrive lui stesso gli elogi funebri; molto spesso lo vediamo come unico partecipante alle funzioni e questo è un altro degli aspetti del film: molte delle persone che muoiono hanno una fede religiosa e quindi lui ci tiene a ricostruire nel modo più fedele possibile quelle che lui crede che potessero essere le idee e le credenze dei suoi utenti.
John è a sua volta una persona molto sola e questo ci porta verso il finale che non voglio svelare ma che è dolceamaro.
Still life è un film molto attuale: di recente abbiamo sentito brutte faccende di persone che sono state trovate morte dopo settimane, mesi o addirittura anni dopo che erano decedute. Quando sento queste storie mi viene sempre da chiedermi se tali persone erano veramente sole al mondo oppure, come vediamo nel film, qualche parente o amico c'era ma le persone defunte erano individui che avevano fatto cose spiacevoli oppure avevano un carattere impossibile e quindi erano state abbandonate di proposito.
Nonostante io non ritenga che la famiglia sia per forza di cose una radice in senso positivo - qualunque professionista della salute mentale sa benissimo che la famiglia è anche la causa principale dei problemi della maggior parte di noi - a meno che una persona, a maggior ragione un genitore, non abbia commesso degli abusi, mi chiedo se era talmente terribile da non meritare neanche un ultimo saluto.
Una riflessione a cui si viene portati è proprio questo chiedersi il senso della vita; ripeto, non voglio spoilerare il finale beffardo, che fa anche un po' sorridere nella sua amarezza, però è un film che mi ha fatto molto interrogare sull'esistenza e sulla solitudine profonda che forse ci toccherà tutti nel momento finale.
(...)
Concordo con quanto dice Marco: il nostro John è uno che viene preso un po' a calci dalla vita. I dialoghi con il suo capo sono qualcosa di raccapricciante e come dice Barbara capiamo guardando il film che lui è la persona più sana, in realtà. Se c'è qualcosa di storto - distorto - è nel suo capo e nella sua collega, che incarnano gli esempi di una società che come dice Barbara dimentica il dolore facendo finta che le cose vadano bene, ed è davvero molto triste.
John è una persona invece sana, pur nella sua solitudine o forse proprio grazie a essa. John è anche molto metodico, vediamo che difficilmente cambia le sue abitudini perché forse non si vuole “sporcare” troppo; però poi entra in contatto con tutta una gamma di persone di varia provenienza e dalle esperienze più variegate, anche con persone dimenticate dalla vita. Ecco: non solo i suoi utenti, quelli che appunto lui cerca di accompagnare nell'ultimo momento, ma anche le persone che si trova a conoscere durante le sue indagini sono persone molto spesso fragili, gli “ultimi”.
Tutti questi aspetti secondo me rendono il film molto prezioso e, come avevo scritto in una piccola recensione quando l'avevo visto la prima volta, per me John è un vero eroe.
(...)
Concludo con un’osservazione su ciò che diceva Barbara sul fatto che John in realtà non è metodico. Anch'io ho notato le piccole - che poi diventano grandi - variazioni; tuttavia secondo me queste fanno parte di un cambiamento che avviene a un certo punto del film e si vede proprio che lui accetta di farsi “intaccare” dalle persone che viene a conoscere, perché scopre che esistono anche delle persone sane: cioè, John entra in contatto con persone che sono diverse dal suo capoufficio e dalla sua collega. E questo secondo me ci dà anche tanta speranza: la bontà che esce fuori dalle persone con cui lui entra in contatto è il messaggio positivo che ci vuole trasmettere Still life.
Si tratta di una coproduzione di Italia e Regno Unito, infatti le riprese sono state effettuate in Inghilterra. Il protagonista, John May, è un funzionario comunale con un lavoro molto particolare: cerca di rintracciare - e in questo sembra quasi un investigatore privato - i parenti delle persone che sono morte in solitudine.
John effettua scrupolosi sopralluoghi nelle abitazioni delle persone che sono venute a mancare e analizza lettere, bollette, album fotografici, dischi. Alcune di queste persone avevano degli animali e infatti una delle storie più commoventi, almeno secondo il mio parere, è quella di una signora che conserva delle lettere che sembrano scritte da una figlia ma in realtà poi si scopre che questa è una gatta.
John molto spesso si trova a fallire nel suo lavoro e alcune delle scene sono davvero toccanti. John ricostruisce le vite delle persone morte e scrive lui stesso gli elogi funebri; molto spesso lo vediamo come unico partecipante alle funzioni e questo è un altro degli aspetti del film: molte delle persone che muoiono hanno una fede religiosa e quindi lui ci tiene a ricostruire nel modo più fedele possibile quelle che lui crede che potessero essere le idee e le credenze dei suoi utenti.
John è a sua volta una persona molto sola e questo ci porta verso il finale che non voglio svelare ma che è dolceamaro.
Still life è un film molto attuale: di recente abbiamo sentito brutte faccende di persone che sono state trovate morte dopo settimane, mesi o addirittura anni dopo che erano decedute. Quando sento queste storie mi viene sempre da chiedermi se tali persone erano veramente sole al mondo oppure, come vediamo nel film, qualche parente o amico c'era ma le persone defunte erano individui che avevano fatto cose spiacevoli oppure avevano un carattere impossibile e quindi erano state abbandonate di proposito.
Nonostante io non ritenga che la famiglia sia per forza di cose una radice in senso positivo - qualunque professionista della salute mentale sa benissimo che la famiglia è anche la causa principale dei problemi della maggior parte di noi - a meno che una persona, a maggior ragione un genitore, non abbia commesso degli abusi, mi chiedo se era talmente terribile da non meritare neanche un ultimo saluto.
Una riflessione a cui si viene portati è proprio questo chiedersi il senso della vita; ripeto, non voglio spoilerare il finale beffardo, che fa anche un po' sorridere nella sua amarezza, però è un film che mi ha fatto molto interrogare sull'esistenza e sulla solitudine profonda che forse ci toccherà tutti nel momento finale.
(...)
Concordo con quanto dice Marco: il nostro John è uno che viene preso un po' a calci dalla vita. I dialoghi con il suo capo sono qualcosa di raccapricciante e come dice Barbara capiamo guardando il film che lui è la persona più sana, in realtà. Se c'è qualcosa di storto - distorto - è nel suo capo e nella sua collega, che incarnano gli esempi di una società che come dice Barbara dimentica il dolore facendo finta che le cose vadano bene, ed è davvero molto triste.
John è una persona invece sana, pur nella sua solitudine o forse proprio grazie a essa. John è anche molto metodico, vediamo che difficilmente cambia le sue abitudini perché forse non si vuole “sporcare” troppo; però poi entra in contatto con tutta una gamma di persone di varia provenienza e dalle esperienze più variegate, anche con persone dimenticate dalla vita. Ecco: non solo i suoi utenti, quelli che appunto lui cerca di accompagnare nell'ultimo momento, ma anche le persone che si trova a conoscere durante le sue indagini sono persone molto spesso fragili, gli “ultimi”.
Tutti questi aspetti secondo me rendono il film molto prezioso e, come avevo scritto in una piccola recensione quando l'avevo visto la prima volta, per me John è un vero eroe.
(...)
Concludo con un’osservazione su ciò che diceva Barbara sul fatto che John in realtà non è metodico. Anch'io ho notato le piccole - che poi diventano grandi - variazioni; tuttavia secondo me queste fanno parte di un cambiamento che avviene a un certo punto del film e si vede proprio che lui accetta di farsi “intaccare” dalle persone che viene a conoscere, perché scopre che esistono anche delle persone sane: cioè, John entra in contatto con persone che sono diverse dal suo capoufficio e dalla sua collega. E questo secondo me ci dà anche tanta speranza: la bontà che esce fuori dalle persone con cui lui entra in contatto è il messaggio positivo che ci vuole trasmettere Still life.
Come sempre, la chiacchierata integrale è su YouTube:
Se posso aggiungere una mia osservazione: oggi sono andato in un cimitero di cittadina di provincia. Ho trovato molte tombe assolutamente abbandonate, recenti, ultimi due anni , con solo la targhetta con il nome.
RispondiEliminaNon c'erano in passato in numero così elevato, ho immaginato che siano morti di COVID.
A margine, le differenze di censo continuano dopo la morte.
Lo stato di abbandono delle tombe mi colpisce sempre. Quelle di persone "normali" e quelle di persone "famose". A Venezia ero rimasta sconvolta dall'incuria delle tombe di personaggi notissimi, figurarsi se l'oblio investe loro che cosa può capitare alle lapidi di noi povera "gente comune". Grazie della tua condivisione.
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