È solo la fine del mondo, di Xavier Dolan. Conversazione con Marco e Barbara

Marco ha parlato della figura cristologica che assume Louis (Gaspard Ulliel) nel suo ritorno a casa. Ovviamente anch'io ci ho visto il figliol prodigo, ma pure un eroe: un eroe che torna ad annunciare la sua dipartita, un eroe che però torna là dove non si era svolta la sua vita; una cosa che mi ha colpito molto del film, tra tutti i dialoghi che un po' vengono urlati e un po' taciuti, è un dettaglio che emerge proprio all'interno di uno di questi scambi - per tornare a quello che diceva Barbara su quanto sia interessante anche il personaggio di Antoine (Vincent Cassel) - nel quale il fratello a un certo punto gli chiede: "Ma perché vuoi tornare alla vecchia casa dove ci sono solo ricordi sbiaditi e ripiani arrugginiti?" 

Anche se all'interno del film in realtà i flashback sono pochi, quindi la narrazione si concentra molto nell'azione presente, come diceva Barbara allo stesso tempo tutti i personaggi sono ancoratissimi al passato, perché appunto è come se si fossero cristallizzati; continuano a ripetere come un mantra: "Dopo 12 anni finalmente sei tornato!" Ed è anche molto simbolico il fatto che Louis abbia praticamente comunicato con la famiglia solo attraverso delle cartoline, che tra l'altro, come gli fanno notare, sono asettiche e possono essere lette dai postini: proprio lui che è un drammaturgo ha questa difficoltà, come diceva Barbara, a parlare e a spiegarsi, e comunica tramite le cartoline! 

Quello che accomuna i dialoghi, spesso pieni di rabbia - soprattutto quelli di Antoine - ma anche gli atteggiamenti completamente differenti di Suzanne (Léa Seydoux) - la sorella minore che invece è molto curiosa e praticamente non aveva quasi mai visto il fratello, perché era molto piccola quando se n'era andato - è il rimprovero a Louis di aver fatto quello che loro non sono riusciti a fare: elevarsi dalla media. Perché Louis è un artista, è estremamente sensibile, altruista, buono; ed è anche straordinariamente bello - ricordiamo che l'attore protagonista, Gaspard Ulliel, morto pochi mesi fa ad appena 37 anni, era di una bellezza disarmante.

Quindi Louis assomma tutte queste caratteristiche ultra-positive, mentre gli altri membri della famiglia che cosa hanno fatto negli anni in cui lui non c'è stato? Come si diceva, sono rimasti praticamente immobili, cristallizzati; quindi, rosicano - soprattutto Antoine.

Leggendo le recensioni - come sempre, la critica si è molto divisa - alcune sostengono che questo film è un esercizio di stile, bello però fondamentalmente un po' superficiale, che non emoziona. Io non sono assolutamente d'accordo. Tra l'altro proprio l'interpretazione di Ulliel è straordinaria, perché pur interpretando un Louis sempre titubante, che dice molto poco, il suo personaggio comunica tantissimo con lo sguardo. Ovviamente i comprimari non sono da meno: questo film ha un cast di tutto rispetto e a me personalmente è piaciuto in modo particolare Vincent Cassel con il suo personaggio sicuramente non facile. Trovo poi che soprattutto il finale sia qualcosa di terribilmente emozionante: c'è un climax incredibile, proprio dopo tutto il vociare, dopo tanti - per citare i Jalisse - fiumi di parole che vengono a volte urlati, a volte vomitati, a volte trattenuti.

Questo film racconta perfettamente la fine della famiglia tradizionale, perché capiamo benissimo che è una famiglia che non si regge in piedi e la madre non è assolutamente capace di tenere insieme nulla. Ed è un film che dice molto anche dal punto di vista dell'immedesimazione, perché è vero che forse i personaggi sono un po' teatrali - tra l'altro, il soggetto è tratto da un testo teatrale - e nevrotici, ma secondo me chiunque si può ritrovare in qualcuno di loro.

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Aggiungo un commento sull'utilizzo della colonna sonora che è molto originale: uno dei primi brani si intitola Home is where it hurts, il che è significativo; poi c'è anche una hit da discoteca e credo che solo Xavier Dolan potesse immaginare di piazzare in mezzo a un film così drammatico un pezzo simile.

Per quanto riguarda le critiche, alcune sottolineano che Dolan sembra un regista da videoclip - effettivamente ha anche curato un videoclip molto famoso di Adele - ma secondo me la realtà è molto semplice: c'è un grande dramma e c'è la scelta di raccontarlo per sguardi, perché le parole, per via degli egoismi di tutti, non riescono a spiegare quello che dovrebbero; e quindi c'è la scelta di riprendere questi primissimi piani che indagano ogni singolo movimento dei volti dei protagonisti. Ecco, se vogliamo vedere Dolan come "un regista da videoclip", allora secondo me questo film è un bellissimo videoclip.

Infine, lo consiglio perché è anche un grande film sulla rimozione. Rimozione dei discorsi che ci fanno male, rimozione della malattia e del dolore. Sono temi che il cinema racconta in tanti modi diversi e che secondo me possono anche aiutare qualche persona che si trova nella stessa situazione: a tutti capita di essere incazzati davanti a una brutta notizia, alla fine le cose in qualche modo bisogna affrontarle e non tutti lo facciamo allo stesso modo; quindi secondo me i personaggi rispecchiano molto le reazioni che possiamo avere davanti a certe prese di coscienza.

Come sempre, la conversazione integrale è su YouTube:




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