Tornando a parlare di The Wicker Man di Robin Hardy (1973)

Eccoci alla terza e ultima puntata dedicata alla Trinità del Folk Horror, dopo Il Grande Inquisitore e La Pelle di Satana. Avevo già parlato un anno fa del soggetto, della trama, della produzione e dell'eredità di The Wicker Man (1973) diretto da Robin Hardy e sceneggiato da Anthony Shaffer, ma voglio aggiungere qui alcune considerazioni.

Come osserva lo studioso Adam Scovell che le ha dedicato un libro omonimo, l’espressione “folk horror” applicata alla cinematografia racchiude al suo interno quei film che illustrano un rapporto simbiotico tra orrore e folklore: non solo tradizioni e leggende popolari (da questo punto di vista anche Candyman potrebbe essere considerato tale), ma anche l’ambiente rurale è un elemento fondamentale del sottogenere. E i folk horror funzionano proprio per via del forte contrasto tra i verdi e rassicuranti paesaggi, spesso ripresi in pieno giorno, e il puro terrore destinato a sprigionarsi dalle campagne: ambienti destinati a mettere in scena l'eterna contrapposizione tra la ragione e l'istinto.

Un’altra caratteristica che si ritrova spesso nei folk horror classici e in altri più recenti (non solo The Wicker Man ma anche Grano rosso sangue e Midsommar, solo per citarne alcuni) è l’isolamento delle comunità di riferimento, distanti dai centri urbani e che hanno sviluppato propri sistemi di credenze, che si traducono in rituali violenti da compiere sulle persone che si trovano, per caso o forzatamente, a passare da quelle parti.


The Wicker Man è prima di tutto uno scontro tra religioni: gran parte della pellicola è dedicata alle convinzioni delle persone che abitano l’isola e il sergente Howie (Edward Woodward), nel suo rigido cattolicesimo etnocentrico, agisce come antagonista che giudica le altre culture basandosi esclusivamente sulla propria. Lord Summerisle (Christopher Lee) vuole risvegliare la comunità dall'apatia moderna e cristiana restituendole le “vecchie divinità”, mentre Howie (per il quale è francamente difficile provare particolare empatia) è sconvolto dal clima di liberazione sessuale che si respira sull’isola. Per lui si tratta di una degenerazione, di una religione falsa e colpevole di aver lasciato andare le chiese in rovina, con l’assenza di figure cristiane e l’educazione sessuale insegnata nelle scuole. Il culto pagano appare a Howie come un’indecorosa riproposizione di tradizioni ormai tramontate, ma l’isola pensa la stessa cosa riguardo al cristianesimo. 

Nei film slasher (in particolare quelli statunitensi), il connubio sesso-orrore è tipico ma in senso rovesciato rispetto a quanto vediamo in The Wicker Man. Mentre negli slasher chiunque fa sesso è destinato a morire, nel film diretto da Hardy la sessualità di Willow (Britt Ekland) non solo non la conduce alla morte ma è perfettamente integrata all’interno di un ambiente protetto… per chi ci vive, si intende. Il rito finale non è commesso per malvagità, ma per la salvaguardia della comunità.

In conclusione, non esiste un altro film come The Wicker Man. La pellicola non segue la tendenza di matrice satanica tipica dei film dei primi anni ’70 e nemmeno il canone definito dalla Hammer, ma rompe con la tradizione sfruttando proprio due figure tipiche della casa di produzione come Lee e Ingrid Pitt, avvicinandosi maggiormente al mystery, al thriller, al poliziesco (con la figura di Howie come un "Holy Harry" che cerca di riportare l’ordine), mentre l'utilizzo della colonna sonora di Paul Giovanni sembra trasformare il film in una sorta di musical.

Sfortunato al tempo dell’uscita (al termine delle riprese, la casa di distribuzione British Lion ha subito un cambio di vertice e la nuova amministrazione non ha apprezzato il film, che è stato pesantemente tagliato), The Wicker Man, condotto quasi interamente alla luce del giorno (come Il mostro della strada di campagna, gioiellino di Robert Fuest), senza sangue né creature mostruose, viene oggi giustamente considerato uno dei migliori film horror britannici.  

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