Miss Violence di Alexandros Avranas. Conversazioni di cinema con Barbara e Marco

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Mi riallaccio al discorso di Barbara per quanto riguarda il simbolismo della scenografia del film, studiata nei minimi dettagli. Non c'è colore, qui. Avevo già rilevato alcuni dettagli sul colore della casa quando avevamo parlato di Madre! dove secondo me prevalevano colori chiari, naturali, neutrali. Qui abbiamo un'assenza di colore, perché sono tutti colori spenti quelli di questa casa, e la casa che cos'è se non il posto attorno al quale - anche simbolicamente, attorno al tavolo - dovrebbe radunarsi tutta la famiglia? Famiglia che, come dice Barbara, è - o dovrebbe essere - una "bussola" per antonomasia. Qui invece la casa diventa una specie di prigione senza colore e dove non ci sono sentimenti espressi. 

Iniziamo il film con un evento traumatico e spiazzante. Ci sono molti altri film con inizi incredibili, che ci lasciano con il fiato mozzato e con un sacco di domande; ma in Miss Violence, a differenza di altri che poi proseguendo nella narrazione non sono altrettanto drammatici e traumatici, dopo un inizio che lascia allibiti, ogni passo che compiamo all'interno di questa famiglia misteriosa svela qualcosa di sempre peggiore. 

Anch'io non voglio svelare troppo perché secondo me questo è un film da vedere e da scoprire man mano, però è un film che lascia dentro molto disagio. Miss Violence infatti si può definire come disturbing drama, uno di quei film altamente drammatici che si pongono al confine con altri generi; non è solo un film drammatico ma ti fa pensare e ti fa provare un disgusto fortissimo, ti provoca un grande schifo. Più andavo avanti e scoprivo i reali problemi e i reali rapporti all'interno della famiglia mi rendevo conto di cadere all'interno di qualcosa di sempre più torbido e marcio. Come dice Barbara non è un film per chiunque, ma bisogna sentirsi in grado di affrontarlo.

Miss Violence ha alcuni punti in comune con altri film in particolare europei, perché secondo me il suo punto di vista riprende una certa tendenza europea a interessarsi alle dinamiche familiari più oscure e insondabili; ma mantiene comunque una originalità nell'ambientazione e ha la capacità di mettere insieme le riflessioni su famiglia e abusi, su quello che dovrebbe essere un rifugio e che invece è un inferno. Concludo dicendo che la storia è tratta da un episodio realmente accaduto in Germania, ancora più atroce di quanto viene raccontato qui.

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Aggiungo una riflessione che è forse la chiave di lettura più banale del film, quella sul patriarcato - e in questo caso se ne può senza dubbio parlare, con il padre-padrone - che non è solo un padre ma è anche nonno e assomma tutte le figure - che domina su una famiglia di donne completamente asservite, addirittura decide lui cosa e quando si mangia e ha lui i cordoni della borsa quindi nessuna è autonoma e indipendente economicamente. Però voglio dire qualcosa anch'io sulla questione toccata da Marco e Barbara sulla non unicità del carnefice. La bambina che vediamo compiere il gesto terribile che apre il film, a un certo punto sembra guardare la telecamera, anzi guarda proprio noi. Ed è come se ci dicesse: guardate che cosa accade normalmente, anche all'interno delle famiglie, oppure che cosa accade nella società, o a uno Stato come la Grecia, insomma si può vedere su vari livelli. Però perché questo abuso accada ci deve per forza essere la complicità - o quantomeno l'omertà - di quelle che non sempre sono solo vittime. Secondo me è questo il messaggio del regista. Non a caso lo slogan è: "Non tutto ciò che vedi è quello che sembra." Come se Avranas volesse spingerci a riflettere: possibile che quando assistiamo a qualcosa di tremendo non possiamo fare nulla per intervenire?

Come sempre, su YouTube tutta la chiacchierata:

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