Madre Giovanna degli angeli, di Jerzy Kawalerowicz

-Verrò con voi ovunque voi andiate. Siamo brava gente qui.
-Tutti voi?
-Forse non tutti. Ma non bisogna giudicare la giornata prima del tramonto.


Come è noto, per la trasposizione cinematografica ispirata alla storia de I diavoli di Loudun, Ken Russell si è ispirato all'omonimo testo di Aldous Huxley rielaborato dallo spettacolo teatrale di John Whiting; ma prima di girare I diavoli, Russell ha certamente visto anche Madre Giovanna degli Angeli, un film del 1961 di Jerzy Kawalerowicz oggi disponibile su Mubi e su Amazon Prime Video*.

Il film polacco, tratto da un soggetto di Jaroslaw Iwaszkiewicz e girato in bianco e nero in uno stile che ricorda l'austerità di Dreyer e Bergman, vinse il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes dello stesso anno.

Nel XVII secolo, il mite Padre Suryn (il versatile Mieczyslaw Voit) viene inviato da alcuni prelati in un piccolo convento di monache, posto in una remota zona della campagna polacca, per liberare le suore possedute da ben otto demoni diversi. Tra le monache in particolare la Superiora, Madre Giovanna degli Angeli (l'intensa Lucyna Winnicka), mostra a Suryn la sua possessione. Nonostante i numerosi esorcismi e le preghiere continue, affiancate da atti di penitenza, la possessione non cessa ma anzi la situazione di estrema vicinanza favorisce la nascita di un sentimento tra i due religiosi, che non si placa neppure con l'installazione di una grata a separarli. Dopo aver consultato inutilmente un rabbino nel quale Suryn non vede che uno specchio di sé e dei suoi dubbi, il sacerdote compie un atto di estremo sacrificio.

Dal punto di vista estetico la pellicola è eccezionale, con una messa in scena esaltata dalla straordinaria fotografia di Jerzy Wójcik: fredda ed elegante, concorre a sottolineare l'inquietudine dei personaggi e a far risaltare l'austerità del convento e il minimalismo del paesaggio. Nel film non trovano spazio gli eccessi barocchi che vedremo in Russell, ma l'utilizzo del chiaroscuro, le coreografie utilizzate per alcune scene come l'esorcismo di gruppo (nel quale troviamo i primi segnali dei movimenti che vedremo nei successivi Il demonio di Brunello Rondi e L'esorcista), i dialoghi a specchio valgono da soli la visione. Quelli che in alcune recensioni vengono indicati come eccessi di verbosità nella seconda parte del film sono, a mio parere, dettagli funzionali nel rendere ancora più inatteso il finale.

Oltre a scorgere nella pellicola i primi segni del futuro genere nunsploitation, possiamo inoltre cogliere nella figura di Suryn le angosce che ritroveremo, ad esempio, in Padre Karras e nel George Lutz impersonato da James Brolin.

Il male come tentazione irresistibile, ma anche la violenza fatta contro di sé e altre persone per raggiungere (o far raggiungere) una impossibile santità. Nel film la violenza ci viene mostrata solo nei segni di penitenza, ma è onnipresente nel canto della suora sedotta e nella descrizione che uno stalliere fa del padre brutale. Nella pellicola di Kawalerowicz, oltre a vedere un messaggio antidogmatico che può fare riferimento alla situazione sociopolitica della Polonia dell'epoca, si può facilmente trovare una valenza universale.

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